La Metodologia del Centro Per Non Subire Violenza

La metodologia utilizzata dal Centro Per Non Subire Violenza APS (da UDI) è quella seguita dai Centri Antiviolenza che fanno parte dell’Associazione D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza). Il Centro dal 2008 è socio fondatore dell’Associazione che ad oggi riunisce più di 80 centri antiviolenza presenti in Italia.

La metodologia del Centro è mettere al centro del progetto la donna partendo dai suoi bisogni e dalle sue richieste per restituire alla donna libertà e autonomia, secondo i principi fondamentali di Protezione, Riservatezza, il non Giudizio e credere al suo racconto.

  • La Riservatezza è la regola più importante per assicurare alla donna che la sua storia rimarrà nel luogo dove lei l’ha portata, ed è il primo passo per la ricostruzione della propria autostima.
  • Il Non Giudizio permette di creare un rapporto di fiducia e dà la possibilità alla donna di sentirsi libera di raccontare la propria storia di violenza
  • Credere al suo racconto è importante perché nella storia di violenza il partner le ha minato la credibilità delle sue stesse parole e anche per opporsi alle istituzioni e alla società patriarcale dalla quale non si sente creduta.

Le operatrici co-costruiscono con lei un percorso personalizzato di cambiamento per uscire dalla violenza e per raggiungere l’autonomia personale, valorizzando la donna dandole la possibilità di raccontare la propria storia secondo i suoi valori, anche se diversi dai nostri, ed entrare così in punta di piedi nella sua intimità ferita, valorizzando le emozioni confermando la sua esperienza, rimandandole che le sue emozioni sono normali e credibili, mentre quello che ha subito è anormale e va condannato, rafforzando l’identità dandole la possibilità di ripensare a se stessa, ai propri bisogni e di scegliere la propria vita, partendo da piccole azioni che le permettano di prendere delle decisioni in autonomia, ricostruendo l’autostima recuperando fiducia in sé partendo dalla fiducia nell’operatrice.

Il personale è esclusivamente femminile (volontarie e dipendenti) perché l’accoglienza delle donne si fonda soprattutto su pratiche di relazione fra donne. Si crea una relazione di aiuto da donna a donna che promuove l’empowerment e ribalta il concetto di potere insito nella violenza. Una relazione di reciprocità come una “disparità positiva” contraddistinta da due donne, una che ha deciso di uscire da una situazione di violenza e una solidale con lei che offre la propria professionalità per accompagnarla nella sua decisione.

L’ operatrice non si sostituisce alla donna, non prende decisioni al suo posto ma la affianca e la sostiene: “non devono essere prese decisioni per” ma “devono essere prese decisioni con”. Questo per restituire potere alla donna, renderla in grado di scegliere ciò che vuole fare.

L’operatrice, mettendosi in una posizione di “ascolto attivo”, “senza giudizio” e “vicino a” rispetta i tempi della donna: affrettare i tempi potrebbe portare ad un abbandono del suo percorso di cambiamento.

Le operatrici decidono di avere un’ etica femminista della cura cioè decidono di avere cure di se stesse come hanno cura delle donne, con la supervisione e le equipe, le formazioni e la propria vita con momenti di svago necessari ad accogliere con più serenità la donna.